LEIBNIZ: NUOVI SAGGI SULL’INTELLETTO UMANO (1^ PARTE)

LEIBNIZ: NUOVI SAGGI SULL’INTELLETTO UMANO  (1^ PARTE)
Oltre Locke e Cartesio
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Tra il 1703 e il 1705 Leibniz ha scritto, in francese, Nuovi saggi sull’intelletto umano (Nouveaux Essais sur l’entendement humain), opera pubblicata postuma nel 1765. Leibniz ha esposto la sua dottrina nella forma di una controversia tra due personaggi: Filalete (che rappresenta Locke) e Teofilo (che personifica lo stesso Leibniz). L’opera prende chiaramente spunto dal testo di Locke, Saggio sull’intelletto umano, pubblicato nel 1689. Ecco cosa ha scritto, infatti, Leibniz nel Proemio: «Essendo il Saggio sull’intelletto umano, scritto da un illustre inglese, una delle opere più belle e più stimate dei nostri giorni, ho risoluto di farvi intorno delle osservazioni, e m’è parso, avendo da molto tempo assai meditato sullo stesso tema e sulla maggior parte degli argomenti che in quest’opera si trattano, che sarebbe una buona occasione di mostrarne qualcosa sotto il titolo di Nuovi saggi sull’intelletto, e assicurare alle mie idee un avviamento più vantaggioso col metterle in così buona compagnia. Ho creduto così poter profittare del suo lavoro, non soltanto per diminuire il mio, ma anche per aggiunger qualche cosa a ciò ch’egli ci ha dato, il che è più facile che cominciare a lavorare addirittura di sana pianta. È vero che ch’io sono spesso di opinione diversa dalla sua; ma ben lungi dal disconoscere per ciò il merito di questo illustre scrittore, gli rendo giustizia mostrando in che e perché mi discosto da lui, quando stimo necessario impedire che la sua autorità prevalga sulla ragione, in qualche punto importante».
Leibniz ha voluto poi sottolineare la distanza che lo separa da Locke: «Benché l’autore del saggio dica mille cose che io approvo, in nostri sistemi differiscono grandemente. Il suo tiene più da Aristotele, il mio da Platone; sebbene in molte cose entrambi ci allontaniamo dalla dottrina di questi antichi».

Inoltre nel Proemio Leibniz ha detto che nel nostro intimo vi è una quantità infinita di percezioni deboli e confuse (petites perceptions). Mentre i cartesiani sostenevano che tali percezioni sono una nullità, perché non se ne ha coscienza, Leibniz invece le ha prese in considerazione, facendo un paragone con la risacca del mare, il cui rumoreggiare è il prodotto dell’agitazione di molte onde indistinguibili: «Occorre infatti essere colpiti un poco dal movimento di queste onde e che si abbia una qualche percezione di ciascuno di tali rumori, per piccoli che siano; altrimenti non si avrebbe quello di centomila onde, poiché centomila nulla non riescono a produrre qualcosa».
In definitiva si tratta del tema relativo alla percezione e all’appercezione che abbiamo già trattato in una precedente lezione sulla Monadologia1.

In polemica con i cartesiani Leibniz estende anche agli animali la capacità di percepire e l’immaterialità della loro anima: «(I cartesiani) sono stati costretti a negare agli animali la stessa percezione, contro ogni apparenza e contro l’universale opinione».

Lorenzo Cortesi

1 https://blogphilosophica.wordpress.com/2020/01/23/leibniz-monadologia-seconda-parte-2/

 

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