CICERONE: DE AMICITIA

CICERONE: DE AMICITIA
Ego vos hortari tantum possum
ut amicitiam omnibus rebus
humanis anteponatis

Incipit del De Amicitia – Manoscritto (Biblioteca Apostolica Vaticana)

Laelius [seu] de amicitia di Cicerone è stata la prima opera che ho letto in latino. In quinta ginnasio il nostro insegnante, p. Afro Ielli, aveva fatto acquistare a noi alunni il testo di Cicerone nella lingua originale, corredata dalle note in italiano, per facilitarne la comprensione. Inoltre l’insegnante ci assegnava, ad ogni lezione, alcune brevi frasi del testo da imparare a memoria, perché ritenute particolarmente importanti. E quando ci interrogava ce le chiedeva. Sono passati parecchi anni da allora, ma certe citazioni me lo ricordo ancora, come ad esempio Amicus certus in re incerta cernitur oppure Nisi in bonis amicitiam esse non posse.
Si iniziava a studiare latino in seconda media. Ma è stato durante il ginnasio che ho apprezzato il valore della lingua, tutt’altro che morta. Durante le vacanze estive scrivevo lettere in latino al mio insegnante, il quale mi rispondeva, ovviamente in latino, sottolineando gli eventuali errori che c’erano nei miei scritti.
Più tardi ho saputo che p. Afro Ielli era partito per la missione, destinazione Mozambico. A noi diceva che nel suo nome Afro era segnato il suo futuro. Sognava di andare in Africa. Ma, arrivato là, incominciò ben presto ad avvertire problemi di salute: gli fu diagnosticato un melanoma. Morì nel 2004 pochi mesi prima di compiere sessantasei anni.

Ma fermiamoci sul De amicitia. Si tratta di un’opera dialogica, che risale all’ultimo periodo della vita di Cicerone, ed è ambientata nel 129 a.C. poco dopo la morte di Publio Cornelio Scipione l’Emiliano. Il dialogo si svolge tra Gaio Lelio detto il Sapiente (amico di Scipione l’Emiliano) e i suoi due generi, Gaio Fannio Strabone e Quinto Mucio Scevola. Il trattato è dedicato a Tito Pomponio Attico, un grande amico di Cicerone, a cui era già stata dedicata l’opera De senectute.

Ecco in sintesi il contenuto dell’opera, corredato da alcune citazioni:
[1-5] In questi primi capitoli introduttivi Cicerone espone ad Attico le ragioni che lo hanno condotto a scrivere il trattato sull’amicizia, scegliendo un personaggio famoso in grado di catturare l’attenzione dei lettori: «Ma come allora per un vecchio io vecchio ho scritto sulla vecchiezza così in questo libro per un amico io amicissimo ho scritto sull’amicizia. Allora ha parlato Catone del quale nessuno v’era in quei tempi che fosse più vecchio nessuno più assennato; ora dell’amicizia parlerà Lelio, sapiente (così difatti è stimato) e famoso per la gloria dell’amicizia» [Sed ut tum ad senem senex de senectute sic hoc libro ad amicum amicissimus scripsi de amicitia. Tum est Cato locutus quo erat nemo fere senior temporibus illis nemo prudentior; nunc Laelius et sapiens (sic enim est habitus) et amicitiae gloria excellens de amicitia loquetur].

[6-12] Lelio parla della morte di Scipione e lo ricorda per le sue grandi capacità dimostrate in vita, lo ricorda rispettoso della famiglia e amato da tutta Roma, «per questo la sua vita per fortuna e gloria fu tale che nulla si poteva aggiungere» [quam ob rem vita quidem talis fuit vel fortuna vel gloria ut nihil posset accedere].

[13-16] Lelio dichiara di credere nell’immortalità dell’anima proprio come Scipione:
«lo non posso infatti esser del parere di quelli che hanno preso a sostenere or non è molto che l’anima perisce insieme col corpo e ogni cosa è distrutta dalla morte» [Neque enim assentior iis qui haec nuper disserere coeperunt cum corporibus simul animos interire atque omnia morte deleri]. È inutile soffrire per la morte. Lelio sa che l’anima di Scipione è immortale. Deve solo ricordare la loro amicizia e farla conoscere ai posteri.

[17-24] Primo monologo di Lelio. Viene lodata l’amicizia e si dice che è una delle cose migliori date agli uomini e che appartiene solo ai virtuosi: «Io solamente vi posso raccomandare di anteporre l’amicizia a tutte le cose umane; nulla è infatti così conforme alla natura così adatto e ai momenti felici e ai momenti avversi» [Ego vos hortari tantum possum ut amicitiam omnibus rebus humanis anteponatis; nihil est enim tam naturae aptum tam conveniens ad res vel secundas vel adversas]. «Sono però d’avviso anzitutto che non vi può essere amicizia se non tra i buoni» [Sed hoc primum sentio nisi in bonis amicitiam esse non posse].
L’amicizia è ritenuta superiore ai legami di parentela: «Poiché l’amicizia in questo è superiore alla parentela ché alla parentela può togliersi l’affetto all’amicizia no: tolto l’affetto l’amicizia non c’è più; la parentela invece rimane» [Namque hoc praestat amicitia propinquitati quod ex propinquitate benevolentia tolli potest ex amicitia non potest; sublata enim benevolentia amicitiae nomen tollitur propinquitatis manet].L’amicizia, insieme alla sapienza, è un bene prezioso, che va anteposto ad ogni cosa: «Di essa certo non so se eccettuata la sapienza dagli dei sia stata data all’uomo cosa migliore. Alcuni le antepongono la ricchezza altri la buona salute altri la potenza altri gli onori molti anche i piaceri. Questa ultima cosa è propria delle bestie le altre poi sono passeggere e incerte poiché non tanto dipendono dal nostro senno quanto dal capriccio della fortuna. Quelli poi che pongono il bene supremo nella virtù fanno sì benissimo però questa virtù stessa genera e mantiene l’amicizia né l’amicizia senza la virtù in alcun modo può esservi» [Qua quidem haud scio an excepta sapientia nihil melius homini sit a dis immortalibus datum. Divitias alii praeponunt bonam alii valetudinem alii potentiam alii honores multi etiam voluptates. Beluarum hoc quidem extremum illa autem superiora caduca et incerta posita non tam in consiliis nostris quam in fortunae temeritate. Qui autem in virtute summum bonum ponunt praeclare illi quidem sed haec ipsa virtus amicitiam et gignit et continet nec sine virtute amicitia esse ullo pacto potest].

[25] Primo intermezzo. Lelio, dopo aver detto che ha altro da aggiungere, è invitato dai suoi due generi a continuare a parlare dell’amicizia.

[26-32] Secondo monologo di Lelio. Si riflette sull’origine dell’amicizia. Essa è legata alla natura e non nasce dal bisogno e dall’utilità: «Perciò l’amicizia mi sembra piuttosto sorta dalla natura che dalla indigenza più per inclinazione dell’anima con un certo suo senso d’amore che per riflessione sulla utilità che essa avrebbe poi avuto» [Quapropter a natura mihi videtur potius quam ab indigentia orta amicitia applicatione magis animi cum quodam sensu amandi quam cogitatione quantum illa res utilitatis esset habitura].
L’amicizia è disinteressata: «Così riteniamo che sia da ricercare l’amicizia non per la speranza di un guadagno che ne venga ma perché tutto il suo frutto è proprio lì nell’amore» [Sic amicitiam non spe mercedis adducti sed quod omnis eius fructus in ipso amore inest expetendam putamus].

[32-33] Secondo intermezzo. Lelio chiede ai due interlocutori se vogliono aggiungere qualcosa. Ma sia Fannio sia Scevola invitano Lelio a continuare.

[33-44] Terzo monologo di Lelio. Si allarga e si approfondisce il discorso sull’amicizia. Vengono presentate le cause che possono rovinare l’amicizia come il desiderio di potere e di denaro. Da qui sono nate le peggiori inimicizie: «Da ciò spesso inimicizie grandissime sono sorte fra uomini che erano amicissimi». [Ex quo inimicitias maximas saepe inter amicissimos exstitisse].
Lelio, poi, spiega che cosa può fare un amico per un altro, presentando alcuni esempi.

[45-60] Lelio elenca i numerosi aspetto positivi dell’amicizia e dice che «non (dunque) l’amicizia ha seguito l’utilità ma l’utilità ha seguito l’amicizia» [non (igitur) utilitatem amicitia sed utilitas amicitiam secuta est]. Sostiene la necessità di saper scegliere bene gli amici e dice che solo l’amicizia è un bene duraturo. Parla del modo in cui si può amare un amico. E ripudia tre tradizionali opinioni: «Ora si deve stabilire quali siano nell’amicizia i confini e direi quasi i limiti dell’affetto. Su essi vedo presentarsi tre opinioni ma non ne approvo nessuna: e l’una è che noi si porti all’amico lo stesso affetto che a noi stessi l’altra che si voglia bene agli amici nello stesso modo nella stessa misura che gli amici vogliono bene a noi la terza che tanto uno sia stimato dagli amici quanto egli stimi se stesso» [Constituendi autem sunt qui sint in amicitia fines et quasi termini diligendi. De quibus tres video sententias ferri quarum nullam probo unam ut eodem modo erga amicum adfecti simus quo erga nosmet ipsos alteram ut nostra in amicos benevolentia illorum erga nos benevolentiae pariter aequaliterque respondeat tertiam ut quanti quisque se ipse facit tanti fiat ab amicis].

[61-90] In questi capitoli Cicerone, per bocca di Lelio, presenta alcuni consigli su come conservare un’amicizia. Sono essenziali: la buona fede, la condivisione dei successi, l’accettazione delle critiche e, quando è necessario, rimproverare gli amici con affetto. È fondamentale, inoltre, mettersi sullo stesso piano di chi è inferiore: «Ma la cosa più importante nell’amicizia è il saperci sentire pari a uno che ci sia inferiore» [Sed maximum est in amicitia parem esse inferiori].
Riportando una citazione di Ennio, Lelio sostiene che l’amico vero si riconosce nel momento delle avversità: «L’amico certo si riconosce nella sorte incerta» [Amicus certus in re incerta cernitur].
L’amicizia, con il passare degli anni, diventa sempre più bella, come il vino che invecchiando diventa sempre più buono: «Quanto più è vecchia un’amicizia tanto più deve essere cara come quei vini che sopportano l’invecchiamento; ed è vero quel detto che si devono mangiare molta quantità di sale insieme perché si raggiunga la piena intesa nell’amicizia» [Veterrima quaeque ut ea vina quae vetustatem ferunt esse debet suavissima; verumque illud est quod dicitur multos modios salis simul edendos esse ut amicitiae munus expletum sit]. Attorno alla necessità dell’amicizia – continua Cicerone per bocca di Lelio – vi è un consenso unanime: «La sola fra le cose umane intorno alla cui necessità sono tutti unanimemente d’accordo è l’amicizia» [Una est enim amicitia in rebus humanis de cuius utilitate omnes uno ore consentiunt].

[91-100] Occorre distinguere l’amico dall’adulatore: «Non c’è peste maggiore nelle amicizie che l’adulazione la cortigianeria la piaggeria. Chiamalo con quanti vuoi nomi; si deve bollare questo vizio di uomini leggeri e ingannevoli che dicono ogni cosa per il piacere altrui niente per la verità» [Sic habendum est nullam in amicitiis pestem esse maiorem quam adulationem blanditiam assentationem; quamvis enim multis nominibus est hoc vitium notandum levium hominum atque fallacium ad voluntatem loquentium omnia nihil ad veritatem].

[100-104] Conclusione. Alla fine Cicerone fa dire a Lelio che l’amicizia con Scipione è stata la migliore della sua vita. Il dolore di questa perdita può essere superato grazie ai ricordi. E invita i due generi, Fannio e Scevola, a valorizzare la virtù, perché solo l’uomo virtuoso può conoscere la vera amicizia: «E voi io vi esorto ad attribuire alla virtù senza la quale non può esservi amicizia un valore cosi grande da ritenere che al di fuori di quella niente vi sia di meglio dell’amicizia» [Vos autem hortor ut ita virtutem locetis sine qua amicitia esse non potest ut ea excepta nihil amicitia praestabilius putetis].

Lorenzo Cortesi

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