MACH: CONTRO LO SCIENTISMO

MACH: CONTRO LO SCIENTISMO
guardare il mondo con gli occhi curiosi di un bambino

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Fin dal momento della sua nascita l’ottimismo scientista ha subito diversi attacchi, che hanno finito per far crollare tutta l’impalcatura che si era costruito.  I primi colpi allo scientismo sono stati messi a segno nella seconda metà dell’Ottocento. Ernst Mach (1838-1916), fisico e filosofo della scienza, ha sostenuto che le teorie scientifiche non possono essere accolte come verità assolute. Esse hanno un valore puramente ipotetico, poiché un’esperienza futura potrebbe in ogni momento correggerle o smentirle.

Nell’opera Conoscenza ed errore (1905) Mach ha scritto: «Le leggi di natura, come noi le interpretiamo, sono un prodotto del nostro bisogno psicologico di orientarci nella natura, di non assumere una posizione di estraneità e di disordine di fronte ai suoi processi».
Esse sono semplici strumenti creati dall’uomo, «espedienti utili all’orientamento provvisorio e per determinati fini pratici». Le leggi sono inferiori rispetto alla realtà, perché non riproducono l’interezza, ma solo un aspetto, quello che interessa a noi. Perciò un’avventata fiducia nella scienza, intesa come sapere unico ed assoluto – secondo Mach – non è altro che una sorta di degenerazione mitologica. Quando la scienza pretende di costruire un impianto unitario e definitivo dell’universo finisce per acquistare non solo le caratteristiche della metafisica, ma perfino quelle della mitologia.

Ecco cosa ha detto Einstein di Mach: « Era così forte in lui il piacere immediato di vedere e capire – l’amor dei intellectualis di Spinoza – che fino in tarda età ha guardato il mondo con gli occhi curiosi di un bambino, continuando a trovare gioia e appagamento nel capire i nessi tra le cose […].
Il suo grande merito sta, a mio parere, nell’aver allentato il dogmatismo che dominava in quell’ambito nei secoli XVIII e XIX […].
Mach sosteneva in maniera convincente l’opinione che finanche i più basilari tra i concetti fisici si fondano sui dati empirici e, da un punto di vista logico, non sono in alcun modo necessari. Evidenziando come nella fisica siano cruciali i problemi connessi ai concetti di base, più che quelli d’ordine logico-matematico, egli ha esercitato un’influenza particolarmente salutare. Il suo punto debole stava, a mio modo di vedere, nel considerare l’attività scientifica all’incirca un semplice «mettere ordine» nei materiali empirici. Egli, insomma, non rese giustizia all’elemento di libera volontà costruttiva presente nella formazione dei concetti. Riteneva, in certo modo, che all’origine delle teorie vi fossero scoperte e non invenzioni».

Lorenzo Cortesi

[Questo articolo è parte integrante del mio libro L’inutilità di Dio. Narrazioni filosofiche e teologiche, che sarà pubblicato prossimamente presso la Casa Editrice Tau, Todi (PG)].

 

 

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