LOCKE: L’ELEFANTE E LA TARTARUGA

LOCKE: L’ELEFANTE E LA TARTARUGA
le fondamenta del mondo

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Il Saggio sull’intelletto umano (An Essay Concerning Human Understanding) di John Locke è un’opera di carattere gnoseologico (ma nello stesso tempo anche metodologico). Tutto è iniziato nel 1671 in casa di lord Anthony Ashley Cooper, futuro primo conte di Shaftesbury. Locke era intento a discutere con alcuni amici su questioni di ordine teologico, quando ad un certo punto la discussione si è arenata.
Locke comprese che prima di affrontare quelle problematiche teologiche era necessario stabilire le regole della conoscenza umana: qual è il grado, la capacità, il limite della nostra facoltà conoscitiva.
Nell’Epistola al lettore (che precede il Saggio sull’intelletto umano) Locke ha detto: «Se fosse il caso di annoiarti con la storia di questo Saggio, potrei dirti che cinque o sei amici, riuniti nella mia stanza, che discorrevano di un argomento assai remoto da quello qui trattato, si trovarono presto ad un punto morto, a causa delle difficoltà che sorgevano da ogni lato. Dopo esserci scervellati un poco senza avvicinarci di più alla soluzione di quei dubbi che ci rendevano perplessi, mi accadde di pensare che eravamo su una strada sbagliata; e che, prima di iniziare indagini di quella natura, era necessario esaminare le nostre capacità, per vedere quali oggetti il nostro intelletto fosse o non fosse in grado di trattare. Proposi ciò alla compagnia, la quale prontamente acconsentì; e fu quindi concordato che questa sarebbe stata la nostra prima indagine. Alcuni pensieri frettolosi e mal digesti, su un argomento che non avevo ancora mai considerato, che annotai per la nostra prossima riunione, formarono la prima introduzione a questo Discorso; il quale, essendo stato iniziato, venne continuato su preghiera dei miei amici, scritto a brani incoerenti, trascurato per lunghi intervalli e poi ripreso secondo quanto mi concedeva l’umore e l’occasione e, infine, durante una vacanza solitaria, presa per motivi di salute, venne messo nell’ordine in cui ora lo vedi».
Ricordo che Mario Sina, quando in Cattolica a Milano ci ha tenuto per un un intero semestre il corso sul Saggio sull’intelletto umano, diceva che qui ci troviamo di fronte ad un caso  in cui la caccia (questione metodologica/gnoseologica) è diventata più importante della preda (questione teologica). Effettivamente oggi ricordiamo e studiamo Locke non tanto per la sua teologia, ma per la sua dottrina gnoseologica.

Ho trovato molto originale la pagina del Saggio sull’intelletto umano, dove Locke ha criticato l’idea di sostanza, per la chiarezza e l’incisività del suo argomentare. Ecco cosa ha scritto a proposito: «Se qualcuno vorrà esaminare la propria nozione di sostanza pura in generale, troverà che non ne ha nessun’altra idea se non la supposizione di non si sa quale sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre idee semplici in noi; qualità che comunemente si chiamano accidenti. Se a qualcuno si chiedesse qual è il soggetto cui ineriscono il colore o il peso, non avrebbe da dire se non che si tratta delle parti solide estese; e se gli si chiedesse a che cosa ineriscono quella solidità e quell’estensione non si troverebbe in una posizione molto migliore dell’indiano […] il quale diceva che il mondo era sostenuto da un grande elefante; chiestogli su che cosa poggiava l’elefante, rispose, su una grande tartaruga: ma quando gli si chiese che cosa sostenesse questa tartaruga dalla schiena così ampia, rispose: qualcosa che non sapeva che cosa fosse. […] L’idea quindi alla quale diamo il nome generale di sostanza, non è altro che il sostegno supposto ma sconosciuto di quelle qualità che scopriamo esistenti, che non possiamo immaginare sussistano sine re substante, senza qualcosa per sostenerle; e chiamiamo perciò quel sostegno substantia; il che, secondo il vero valore della parola, in inglese comune si dice star sotto o sostenere».

Locke, tuttavia, non dice espressamente che non esiste la sostanza. Si limita a sottolineare che si tratta di un ipotetico substrato, di cui non abbiamo conoscenza. Ma da qui a negare la sostanza il passo è breve. Questo è l’esito verso cui è orientato l’empirismo, ovvero la strada senza uscita dello scetticismo.

Lorenzo Cortesi

2 commenti

  1. Mi trovo in dubbio riguardo questa interpretazione. Mi chiedo se invece Locke non volesse intendere una inconoscibilità della sostanza simile a quella che Kant teorizza per il noumeno. Mi pare che per Locke si possa avere accesso alle cose solamente come accidenti e che di conseguenza ci sia una sorta di oscurità riguardo ciò a cui gli accidenti sono riferiti, ovvero la sostanza (noumeno per Kant forse). Non so, il mio è un tentativo disperato di far quadrare le cose ahahah

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  2. Concordo: c’è un collegamento tra Locke e Kant per quanto riguarda l’impossibilità per l’uomo di conoscere la sostanza/noumeno. E nessuno dei due nega l’esistenza della sostanza/noumeno.

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